Audizioni alla Camera. Il parere del Csi
L’intervento di Bosio sul decreto legislativo di riforma dello sport
Nel primo pomeriggio di lunedì 11 gennaio 2021, presso la Sala della Regina di Montecitorio, in videoconferenza, erano in programma alle commissioni Cultura e Lavoro riunite le audizioni dei presidenti degli enti di promozione sportiva per parlare del decreto legislativo recante riordino e riforma delle disposizioni in materia di enti sportivi professionistici e dilettantistici, nonché di lavoro sportivo. Auditi Andrea Mancino, in qualità di rappresentante delle Discipline sportive associate nel Consiglio nazionale del Coni, Damiano Lembo, come coordinatore del Coordinamento nazionale degli Enti di promozione sportiva nel Coni, e Ciro Bisogno, presidente nazionale delle Pgs è toccato al presidente nazionale del Centro Sportivo Italiano, Vittorio Bosio, rappresentare il proprio punto di vista sugli adempimenti in materia spesso non tipici di quell'organizzazione volontaristica che da sempre caratterizza lo sport di base e su un sistema sportivo così gravato di insostenibile onerosità finanziaria. Di seguito i passaggi salienti dell’intervento alla Camera del numero uno arancioblu:
“Il contributo del Centro Sportivo Italiano si intende ad integrazione di quanto presentato sia dal Forum del Terzo Settore, sia dal Coordinamento degli Enti di Promozione Sportiva. Il CSI, nello stesso tempo, intende sottolineare alcuni aspetti che appartengono, in particolare, alla sensibilità sociale del CSI, legata prevalentemente al mondo giovanile, agli oratori, alle associazioni sportive di base che fin dal 1944 si rivolgono al CSI, per la sua visione di uno sport di prossimità, di vicinanza alle persone e dalla forte impronta educativa e sociale.
Prima di tutti quanti, e fin troppo solo per molto tempo, il CSI ha denunciato la necessità di intervenire, tutelandolo, sul lavoro sportivo. Non possiamo che guardare con occhio benevolo ad una iniziativa che inserisca le necessarie tutele e garanzie in questo ambito, quasi meravigliati che si debba giungere nel 2021 a riconoscere diritti che altre categorie di lavoratori hanno da diversi decenni, certi che lo Stato saprà in futuro anche prevedere forme d’intervento volontario finalizzato al recupero di posizioni previdenziali pregresse.
Tuttavia, nello specifico, se venisse accolto integralmente il testo in esame, così come concepito e formulato, non possiamo esimerci dall’ evidenziare significative e pericolose contraddizioni che rischiano di minare l’intero sistema sportivo, soprattutto quello di base, quello educativo, quello di promozione sociale, producendo un effetto deflagrante che porterebbe ad un esito ben diverso dalle buone intenzioni del Legislatore.
Ci limitiamo ad evidenziare qui taluni aspetti che non possono sfuggire a chi conosce le dinamiche del fenomeno sportivo.
Futuro o no?
Il futuro dello sport passerà, inevitabilmente, da un ripensamento di tutta la gestione dell’impiantistica sportiva territoriale. In un’epoca in cui le Amministrazioni Locali hanno iniziato un processo di dismissione della gestione diretta delle strutture di proprietà pubblica, chiedendo la surrogazione e l’impegno delle associazioni e società sportive dilettantistiche, pare quanto meno contro tendenza, per non dire assolutamente irrazionale, che nell’art. 8 si escludano, dal conteggio degli introiti “per attività diverse” almeno quelli inerenti le sponsorizzazioni e, appunto, la gestione degli impianti sportivi. Per fare un esempio concreto, appare evidente che per una ASD che gestisca un impianto natatorio, come una piscina comunale coperta, i costi e i ricavi derivanti dalla gestione siano tutt’altro che marginali rispetto a quelli relativi alla attività sportiva istituzionale. Lo stesso dicasi per gli introiti di sponsorizzazione, spesso fonte importantissima di sostentamento per il settore agonistico della ASD.
L’attuale testo, pertanto, si configura come un limite ad un processo di modernizzazione e in palese contraddizione con le esigenze di crescita e sviluppo dello sport di promozione sociale.
Quando sono autentiche le tutele?
Al di là di dichiarazioni di principio su cui tutti affermano di dichiararsi concordi, occorre calare i concetti nella realtà, rendendoli compatibili e sostenibili. Da questo punto di vista, ci sembra che le collaborazioni coordinate e continuative, oggetto di un progressivo abbandono, debbano invece essere fortemente rivalutate proprio quali forma tipica del lavoro sportivo, salvo diverso e più tutelante accordo tra lavoratore e datore. È infatti proprio della natura e delle peculiarità dell’esperienza sportiva, un percorso non subordinato, flessibile rispetto ad orari, festività, ecc.. Le Co.co.co., sotto questo profilo, non solo appaiono lo strumento più idoneo, ma potrebbe aiutare a prevenire due fenomeni che, a nostro avviso, sarebbero pericolosi: il ricorso al nascondimento del lavoro (lavoro nero) e, in alternativa, l’apertura di “finte” partite iva a forfait.
La Co.co.co “sportiva”, ci appare di gran lunga la forma contrattuale più idonea ed elastica, ampiamente accettabile, sicuramente più sostenibile economicamente e anche tutelante, nonché assoggettabile facilmente ad alcune forme di “rinforzo” delle garanzie per il lavoratore, soprattutto in alcune maggiori tutele, principalmente della maternità, ma anche della malattia, delle ferie obbligatorie, della interruzione del rapporto di collaborazione, nonché delle conseguenti e proporzionate forme di integrazione al reddito, laddove tale reddito sia l’unica fonte di sostentamento della persona, come la recente pandemia da Covid-19 ha evidenziato.
Quali sono i lavoratori dello sport?
Sul tema, si sottolinea come i testi attuali siano portatori di confusione e introducano elementi di seria difficoltà. “Amatore”, “volontario”, “lavoratore sportivo”, sono termini che non hanno confini chiari, definizioni nette e univoche e presentano aporie che minano la stabilità e la continuità delle Associazioni e Società Sportive Dilettantistiche. Su questo, nell’allegato si propongono elementi concreti e chiari di cui auspichiamo l’accoglimento, proprio a salvaguardia delle piccole e medie realtà di base.
Siamo altresì a focalizzare l’attenzione in merito ai lavoratori dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del Decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165. Stiamo parlando, per fare un esempio molto concreto, di diverse migliaia di arbitri, giudici o tecnici che, qualora venisse applicata la normativa così come formulata, sarebbero costretti immotivatamente ad uscire dalla pratica sportiva creando, non solo una evidente disparità, ma soprattutto una lacuna incolmabile per l’intero sistema sportivo italiano di base. Lo stesso dicasi per tanti giudici di gara e cronometristi che svolgono il loro insostituibile compito e si trovano già in pensione. Non esistono solo gli arbitri professionisti, quelli delle massime serie e dei campi di gioco illuminati, ma anche quelli delle categorie inferiori, dei campetti di periferia, ecc..
Siamo convinti, pertanto, che occorra una revisione del testo per estendere a queste figure la possibilità di impegno anche negli Enti di Promozione Sportiva, nelle federazioni Sportive Nazionali e nelle Discipline Sportive Associate.
In sostanza
Il binomio “sport e lavoro” merita un intervento legislativo chiaro e determinato, ma lo spirito dei testi non va in questa direzione, perdendo la grande occasione di aprire, attraverso le Co.co.co. “sportive”, un percorso di regolarizzazione del lavoro sportivo, a condizioni sostenibili per le società sportive. Ci sentiamo di ricordare che la gran parte delle Società e delle Associazioni Sportive Dilettantistiche si fondano sulla passione di decine di migliaia di dirigenti e tecnici, la cui dedizione consente a milioni di giovani di vivere esperienze significative attraverso lo sport. Per tutelare questi dirigenti e
queste realtà sportive, occorre il coraggio di una reale innovazione, anche sul versante del lavoro. Il rischio di demotivarli e perderli, soprattutto dopo gli effetti devastanti del Covid-19, è più che concreto; e il Paese non può permetterselo.
Avvertiamo l’esigenza di sollecitare un confronto tecnico e sostanziale con i soggetti sportivi, in quanto i Decreti all’attenzione rischiano di minare un sistema che ha sì bisogno di riforma, anche quella parzialmente disegnata dagli stessi Decreti in esame, ma rischia di implodere se non saranno apportate le opportune correzioni che segnaliamo nelle annotazioni tecniche allegate. Guardiamo con preoccupazione a quanto sta accadendo, ma anche con fiducia che ci sia la capacità di ascolto e confronto, almeno con quegli Organismi Sportivi che hanno realmente a cuore lo sport sociale, lo sport di base.