Pensavamo che i problemi delle periferie appartenessero solo a Parigi o Los Angeles. Ora ci siamo accorti che non era proprio così. A Roma, lo scorso novembre, l’assalto a una caserma della polizia e alla sede del Coni; a Padova un muro alzato a dividere quartiere da quartiere; altrove le ronde notturne; adesso le rivolte dei rifiuti e la caccia ai rom. Episodi che sbattono in prima pagina una realtà che tanti di noi vivono quotidianamente: il disagio sociale, l’insicurezza, la diffidenza verso l’altro. Purtroppo la politica sembra non essere in grado, da sola, di comprendere quale polveriera si nasconda dietro l’emarginazione che attanaglia le periferie, non solo a Milano, Roma, Napoli: ogni città, piccola o grande, ha la sua periferia, con i suoi disagi, le sue “immondizie”, le emergenze che, trascurate a lungo, sono diventate croniche. Amaramente constatiamo con quale leggerezza la politica abbia amministrato negli ultimi vent’anni il problema di quartieri dove andavano stratificandosi marginalità antiche e nuove, in una miscela incontrollata di miseria, rabbia, diffidenza. Ora arriva la frenata brusca, il varo di misure repressive sul modello di quanto fatto negli Usa e altrove. Probabilmente Berlusconi non aveva alternativa al varo del «pacchetto sicurezza», per non rischiare dinamiche di strada incontrollabili. Ma è inevitabile pensare che alla fine non si otterrà altro che trasferire nelle prigioni, già stracolme di diseredati, l’emergenza che c’è nelle strade. Purtroppo le emergenze, da quella educativa a quella sociale e alla crisi di legalità, non si risolvono solo con le misure repressive. Abbiamo costruito un modello di civiltà che si apre a pochi ed esclude tanti. Le nuove povertà avanzano, e ridurre le spese sociali per sostenere le grandi aziende sembra essere l’unica formula nota ai governi. Tra i nuovi poveri ci sono anche i giovani, poiché le povertà non sono solo quelle da reddito. Salviamo almeno loro, il loro futuro. Ricominciamo da loro, mettendogli a disposizione, partendo dai quartieri “sensibili”, luoghi educativi per attivare relazioni sociali, recuperare fiducia, dare senso alle loro esistenze. Con la promozione di società sportive o oratori, e la formazione di educatori competenti e motivati, ridurremmo il fattore di rischio, dandoci tempo di trovare nuove soluzioni risolutive per rianimare le periferie fisiche e morali delle nostre città.