Prende piede, finalmente, l’idea che praticare lo sport non sia una scelta facoltativa e personale, che attiene alla sfera privata delle persone, ma sia un diritto/dovere che attiene piuttosto alla sfera pubblica, in quanto possibilità che le istituzioni devono garantire ad ogni persona, e in particolare ai giovani, come parte integrante, a pieno titolo, di quel “portafoglio” di diritti che sono sottintesi all’essere cittadini. Meglio tardi che mai, si potrebbe dire. Ma il rammarico resta, perché, se i governanti si fossero disposti già anni fa a declinare lo sport come diritto di tutti, oggi probabilmente avremmo giovani meno confusi e meno sbandati. E qui c’è un discorso serio da fare: immaginare uno sport davvero per tutti, e tarato su una grande vocazione al sociale, non deve significare pensare ad uno sport di seconda qualità, all’acqua di rose, depauperato di significati agonistici. Questo è un errore già commesso in passato, quando certa parte dell’associazionismo sportivo cattolico pensava che l’agonismo dovesse essere messo al bando, perché decretava vincitori e vinti, e che fosse meglio trasformare le gare in momenti di festa per “tutti uguali”, dove la determinazione a prevalere doveva essere bandita. Lo sport che non insegna a impegnarsi, a confrontarsi con gli altri o con se stessi, a commisurarsi con la vittoria e la sconfitta, perde molto o quasi tutto del suo valore educativo. Lo sport, e quello del CSI non fa eccezioni, ha questo di bello: che ognuno deve impegnarsi fino in fondo per raggiungere lo scopo. Non è vero che si gareggia per il piacere di partecipare. Fa parte dell’animo umano gareggiare per vincere, e tradire questa pulsione significa tradire lo sport e tradire la persona. Semmai il problema è allenarsi e competere conservando il giusto equilibrio, senza trasformare i risultati in un idolo da servire a prescindere. Lo sport ha senso se viene vissuto come paradigma della vita: si fatica per conquistare la vittoria come nella vita ci si deve impegnare per raggiungere qualsiasi obiettivo, senza esaltarsi e senza deprimersi, ogni volta mettendocela tutta per realizzare i propri sogni, sapendo che alla fine si può riuscire o meno ma l’importante è avere la coscienza a posto perché si è fatto il massimo secondo le proprie possibilità. Questo è proprio quanto manca a molti giovani d’oggi. Ecco perché non serve affermare soltanto il diritto di ciascuno allo sport, ma si deve andare oltre e sostenere le ragioni del diritto di tutti ad uno sport che sia davvero di qualità e vigoroso sotto il profilo educativo.