Ora che è scoppiata la bolla di malessere che lega il triangolo ragazzi-famiglia-scuola, portando alla luce il problema in tutta la sua urgenza, è consolante almeno che vi sia una convergenza delle diagnosi. Troppo si è permesso e si permette ai ragazzi, con i genitori impegnati a sviluppare il rapporto con i figli più sul piano amicale che su quello di una relazione tra generazioni. In sostanza, si è rinunciato ad educare, per di più pretendendo di legare le mani alla scuola in nome di una assoluta pedagogia del permissivismo. Non si rendono conto i genitori che stanno tradendo il loro ruolo, perché il loro compito primario è di avviare e orientare alla vita e non di proteggere, fabbricare alibi, assolvere in ogni caso. Consentire che i figli disertino oggi gli obblighi e le difficoltà della scuola dell’istruzione significa invitarli a disertare domani gli obblighi e le difficoltà della scuola della vita, che già di per sé è dura, costellata di fatiche, di disuguaglianze, di difficoltà che possono essere superate solo a costo di grandi sacrifici. Che generazione di adulti avremo tra dieci o quindici anni? Quale la loro capacità di costruire la vita individuale e collettiva? Per tale motivo sbaglia chi sostiene che il modo in cui si pilota l’educazione dei figli sia solo un affare privato delle famiglie. È una questione che ci riguarda tutti, perché riguarda il futuro del paese. Questa responsabilità, pubblica e non privata, va fatta comprendere alle famiglie, con garbo ma con determinazione, in ogni contesto. Anche sotto questo profilo va sviluppato lo slogan «Lo sport mette in gioco la famiglia» che il Centro Sportivo Italiano si è dato per l’attuale stagione associativa. La famiglia non va lasciata sola alle sue difficoltà e alle sue debolezze. Occorre risvegliare la sua coscienza e la sua passione educativa. Lo sport può essere terreno di mediazione, di presa d’atto, di assunzione di responsabilità. Saldando nello sport il legame educatore-ragazzo-famiglia si può consentire di sperimentare ogni giorno sulla propria pelle, attraverso gesti e parole semplici, la fatica vincente di compiere un cammino comune, di usare la pazienza come strumento di dialogo e di confronto, di lavorare ad un progetto di vita positivo e duraturo. Senza imboccare scorciatoie o altre vie di fuga, senza reticenze e ipocrisie, e soprattutto senza «dimettersi» dai propri doveri.