"Vorrei la pelle nera"
“Razzismo e xenofobia sono la morte dello sport. E’ bene non restare fermi!”
Il Centro Sportivo Italiano aderisce e sostiene la campagna di sensibilizzazione antirazzista “Vorrei la pelle nera”, lanciata dal presidente della FIP, Dino Meneghin, a seguito degli insulti razziali ricevuti in partita da Abiola Wabara, giocatrice della Bracco Sesto San Giovanni e della Nazionale. Pertanto ha invitato i propri atleti, tecnici, arbitri, dirigenti delle oltre diecimila squadre di basket che scenderanno in campo nel prossimo week-end ad apporre un evidente segno nero sulla propria pelle (nella foto Marco Mordente fonte FIP). La campagna prevede infatti che tutte le componenti del movimento cestistico e gli appassionati, in occasione della prossima giornata di campionato, colorino la propria pelle con un segno nero, ben visibile, in rappresentanza dei colori di tutte le etnie. E il Csi la vuole estendere a tutte le squadre, specie dei settori giovanili, non fermandosi solo al mondo dei canestri. Da sempre il CSI è in prima linea in ogni iniziativa che vuol promuovere i valori dell’uomo e della vita.“Razzismo e xenofobia – spiega il presidente nazionale del CSI, Massimo Achini – si stanno diffondendo pericolosamente nel nostro paese, rischiando di contagiare anche lo sport. Dopo gli ululati razzisti negli stadi di calcio, arriva questo segnale dal basket. Il razzismo è la morte dello sport. Non possiamo permetterlo. E se è vero che il problema nasce fuori dallo sport, nella società civile, è bene che lo sport non resti con le mani in mano aspettando soluzioni dall’esterno, ma faccia il suo dovere contribuendo con atti concreti a sensibilizzare atleti, operatori e pubblico. Non solo dobbiamo respingere il razzismo fuori dai campi di gioco, ma dobbiamo sforzarci di usare il potere educativo e l’ascendente mediatico che lo sport esercita per entrare nelle coscienze di chi, nella società, dimentica che siamo tutti membri alla pari della stessa famiglia umana. Da sempre per il Csi è motivo di vanto quello di avere società “aperte” in modo particolare verso coloro che sono lontani, facendo dell’accoglienza uno degli elementi fondamentali del nostro modo di vivere lo sport”.