Il Parlamento sta lavorando alla istituzione di un’Agenzia nazionale per i giovani, che dovrebbe avere tra i propri obiettivi promuovere e sostenere programmi per incoraggiare i giovani all’esercizio della cittadinanza attiva, della solidarietà e del volontariato. L’input viene dall’Unione Europea, e dunque prima o poi il provvedimento andrà in porto. Può essere una bella cosa, considerando che le nuove generazioni sembrano sempre più inclini a rifuggire qualsiasi forma di impegno sociale e di responsabilizzazione, per galleggiare in una dimensione privata strutturata egoisticamente Bisogna però rendersi conto che se i giovani d’oggi mancano di slanci di altruismo, le responsabilità vanno attribuite in primis ai loro genitori. Fin dalla prima infanzia le famiglie gettano i figli, quasi sempre contro i desideri di questi, in un vortice di attività extrascolastiche. Musica, danza, sport, corsi di lingue straniere, di informatica o di arti figurative: tutto si assaggia e poco si approfondisce, fino alla sfinimento dei ragazzi. Si pensa così di fare educazione, di arricchire il bagaglio formativo di un minore. In realtà, si insegna soltanto ad «occupare» il tempo libero con attività occasionali, di cui il ragazzo si libera non appena è in grado di decidere da solo. In questo contesto pretendere che si arrivi alla giovinezza con una visione «larga» del mondo, desiderosi di impegnarsi nel volontariato, è una chimera che nessuna legge, per quanto buona, può cancellare. C’è di più: spesso sono i genitori ad insegnare che la solidarietà e l’impegno sociale sono cose da cui stare lontani, mere perdite di tempo; si insegna che conviene non impicciarsi, non sporcarsi le mani, investire solo in ciò che frutta vantaggi a livello personale. È un processo ben visibile in campo sportivo. Le famiglie hanno ormai recepito che lo sport fa crescere bene, e bussano alle porte delle Società sportive per avere un servizio, senza farsi troppe domande circa il volontariato degli operatori che rende possibile il servizio. Quel volontariato lo ritengono, chissà perché, un loro diritto piuttosto che una responsabilità da condividere, alla quale indirizzare per tempo i loro stessi figli affinché domani altri ne fruiscano. Ed è una straordinaria opportunità educativa che si perde, non comprendendola: perché formare i giovani all’esercizio del volontariato e dell’impegno civile è di gran lunga più decisivo, per il futuro stesso dei ragazzi e del paese, che far apprendere loro un passo di danza o l’arte del solfeggio. Rimuovere questa mentalità è la vera sfida culturale.