L’Eucaristia fra gioco e trascendenza

Il Csi protagonista al Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona nella giornata dedicata all’ambito del “lavoro e festa”. Gli interventi di Massimo Achini e del filosofo Francesco Giacchetta e le testimonianze di Gianni Petrucci e Pupi Avati

Mercoledì 7 settembre. E’ il giorno del lavoro e della festa al Congresso Eucaristico Nazionale. Entrano in campo sport, spettacolo, musica, poesia e tradizioni marchigiane. Tutto ciò che don Mario Lusek, direttore dell’Ufficio Cei per la pastorale sport turismo e tempo libero ha - in apertura di giornata - tradotto nell’intenso programma di questa giornata marchigiana, che vede in prima linea il Centro Sprortivo Italiano.
E di tempo libero, di gioco, di divertimento come di relazioni teologiche si è parlato ad Ancona  nel corso del convegno “L’Eucaristia nel tempo dell’uomo: gioco e trascendenza”, condotto dal presidente del Centro Sportivo Italiano, Massimo Achini con l’intervento del filosofo Francesco Giacchetta.
E’ stato il numero uno del Csi, ad introdurre e a spiegare le potenzialità infinite che gioco e sport hanno in direzione della festa. “La festa trasfigura il quotidiano – afferma Achini - nel quotidiano si superano l’anonimato di folle, incontri, relazioni si aprono alla conoscenza , alla fraternità , al dialogo. Da qui nasce l’impegno dell’Associazione ad alleviare quella sete di vera festa, grande dono di Dio per l’uomo”.
Ed in quest’ottica diventano importanti i luoghi e gli spazi della festa. “ Il Csi vuole rendere presente Cristo – le parole di Achini – una presenza resa evidente dal segno eucaristico nei luoghi della vita. Come? Trasformando i campi sportivi, le palestre, le strade, le piazze, i sagrati, le sale cinematografiche, in scenari festosi, dove l’uomo ritrova sé stesso ed il credente possa dare testimonianza della presenza e dell’azione di Dio nella vita di ogni persona, anche quando gioca , si diverte e fa sport”.
A scandagliare le diverse forme di gioco, che “con le sue regole è il momento aurorale dell’etica”, ci ha pensato quindi Francesco Giacchetta, filosofo, docente all’’Istituto teologico marchigiano, intervenuto sul tema della quinta giornata del XXV Congresso eucaristico. “Oggi – ha argomentato il filosofo – l’emergenza educativa non è la difficoltà del giovane, è la latitanza dell’adulto nei processi dell’educazione”. “Si può educare con il gioco, educando anche al gioco”, ha spiegato il relatore, secondo il quale “non bisogna contrapporre il festivo al feriale, ma rivitalizzare il feriale con il festivo”, andando oltre “la routine e la banalità”. “Salvare il quotidiano – ha proseguito – significa sottrarlo alla quotidianità inserendo il festivo nel feriale, la straordinarietà nell’ordinario”, proprio come avviene nella celebrazione eucaristica, dove all’”agire dell’efficacia” si sostituisce “l’agire umanizzante”.   A differenza della “carnevalizzazione della vita”, a cui si assiste ad esempio nei reality show televisivi, “nel gioco c’è una serietà che spesso ci sfugge”, ha osservato il relatore soffermandosi sul rapporto tra festa e gioco: “la liturgia condivide il gioco la gratuità, l’inutilità”. Come affermava Mounier, ha detto il relatore citando il filosofo personalista, “Dio è l’inutilizzabile, amo Dio perché è Dio, ed essere fatti per Dio è essere fatti per l’inutilizzabile”. Il gioco, dunque, come la liturgia “ci allontana dal quotidiano per avvicinarci all’agire gratuito, festivo di Dio”. Ad un certo punto, però, il gioco termina, anzi deve terminare: “chi pensa che tutto sia gioco, confonde l’ultimo con il penultimo. Tutti noi credenti siamo in attesa”. Ogni gioco, inoltre, ha le sue regole, “e la regola è qualcosa di stabile, non si può barare”, ha ricordato il filosofo affermando che “è nel gioco che si insegna l’etica”. C’è poi il “carattere aleatorio” del gioco, che ci ricorda come “nella vita, soprattutto in questo tempo dove tutto porta alla meritocrazia, criterio comunque essenziale, non tutto può essere meritato: qualcosa avviene per grazia, è imperscrutabile”.  
A concludere il convegno sul palco due autorevoli testimonianze del mondo dello sport e dello spettacolo. “Ci si può santificare su questa terra anche attraverso lo sport, ad esempio rispettando le leggi e l’etica”. Ne è convinto il presidente del Coni, Gianni Petrucci, che è intervenuto oggi alla Fiera di Ancona, nella giornata del Cen dedicata al lavoro e alla festa. “Lo sport oggi è una parte importante del Paese - ha detto Petrucci – anche se nel momento di crisi che stiamo vivendo ci sono priorità ben più importante”. “Oggi il campione è importante perché è un simbolo”, ha proseguito il dirigente sportivo, rivelando che quanto incontra gli atleti negli spogliatoi “chiedo loro di vincere per la squadra, per la loro famiglia, far fare una bella figura al nostro Paese, ma soprattutto per dare un insegnamento ai giovani, che iniziano ad amare uno sport prima di tutto perché lo vedono praticare dai loro idoli”. Soffermandosi poi sul ruolo svolto dalle associazioni ecclesiali, impegnate nel mondo dello sport, plaudendo il Csi per il suo impegno capillare sul territorio dei valori e degli insegnamenti, Petrucci ha sottolineato che “il loro ruolo è essenziale per testimoniare che quella che si svolge in strutture come gli oratori non è solo un’attività sportiva, ma anche etica, che si nutre degli insegnamenti ispirati dalla fede. La domenica, ad esempio, si può andare a messa, ma anche nella stesta giornata a giocare una partita di calcio nel campetto dell’oratorio, come facevo io da piccolo”. 
“La vita dell’uomo è divisa in quattro quadranti”. Comincia così invece il “racconto di cosa sa un 72enne della vita”, fatto da Pupi Avati alla Fiera di Ancona, nella giornata del Cen dedicata al lavoro e alla festa. Dapprima vi è “una zona di potenzialità enorme, meravigliosa”. È il tempo dell’infanzia e della giovinezza, dove “la sera prima di addormentarsi si riesce a immaginare qualunque cosa”. Il secondo quadrante è quello abitato da chi sta salendo su una collina: “Durante la salita possiamo immaginare il paesaggio, ma non sappiamo come è veramente. È l’età di mezzo, delle somme e delle sottrazioni, dove si ama un sistema perché più si è inseriti in esso e più ci si sente riconosciuti”. Arrivati in cima alla collina, nel terzo quadrante “comincia il rientro a casa: c’è il rifugio nel ricordo, la nostalgia per la giovinezza, non abbiamo più il coraggio di dire ‘per sempre’. Ecco perché è importante la fede – ha commentato – perché ci legittima a continuare a credere nel ‘per sempre’”. L’ultimo quadrante è quello “dove si cominciano a intravvedere i titoli di coda e si prova una nostalgia diversa, nei riguardi della tua infanzia. Il massimo della nostalgia – ha concluso il registabolognese – è il ritorno nella casa del Padre, che non è soltanto Dio, ma è tuo padre. Questo quadrante della vita dovrebbe essere riservato a tutti”.

Nel primo pomeriggio, sempre in Fiera ad Ancona, il Csi ha presentato il libro “Gedda e lo Sport”, volume, curato da Ernesto Preziosi, che propone i contributi di autori diversi (Pivato, Ponzio, Costantini, Preziosi, Mazzarini, Mazza) sull’opera del Gedda “teorico” e “costruttore” di uno sport fattore di educazione e di promozione umana, riuscendo però a collocarla nell’alveo più vasto dell’apporto fornito dallo sport cattolico a quello nazionale dagli inizi del ‘900 fino ad oggi.

Con Ernesto Preziosi e Edio Costantini, nella gironata del CEN, c'erano mons. Carlo Mazza, vescovo di Fidenza, don Mario Lusek, dell'Ufficio Sport della CEI, il presidente nazionale del Csi, Massimo Achini ed il consulente ecclesiastico nazionale, Mons. Claudio Paganini.

Con questo testo viene così regalata alla memoria collettiva una serie di vicende senza le quali lo sport italiano non sarebbe ciò che oggi esso è. L’associazionismo cattolico ha fornito un contributo fondamentale alla nascita e allo sviluppo dello sport italiano, non solo sul piano dei numeri, quanto anche sul piano dei motivi ispiratori. È questa una verità ampiamente avallata dagli studi storici, che però finora avevano solo sfiorato il ruolo ricoperto in tali vicende da Luigi Gedda (1902-2000), figura di primo piano del cattolicesimo italiano nel primo periodo dell’era repubblicana. Gedda, medico e genetista, aveva cominciato ad interessarsi di sport negli anni Trenta, proprio dal punto di vista medico. Nel 1944 era stato il promotore della fondazione del Centro Sportivo Italiano, e a lui si devono intuizioni importanti sul valore, sul ruolo, sui contenuti di uno sport concepito in coerenza con i principi cristiani.

L’Eucaristia fra gioco e trascendenza