-IL PUNTO- Grazie don Carlo, amico dei campioni
La gioia sincera con cui il mondo dello sport ha accolto la nomina di mons. Carlo Mazza a vescovo di Fidenza testimonia quanto sia stato fecondo il laborioso e difficile lavoro che don Carlo ha portato avanti, in questi anni, attraverso l’Ufficio della Pastorale dello sport e del turismo della CEI. Credo che il CSI degli ultimi dieci anni debba molto alle felici intuizioni e all’opera di accompagnamento di don Carlo, soprattutto quando esso si è trovato a riscrivere il Progetto culturale e sportivo e a ridefinire tutto il nuovo progetto sportivo, con il ripristino dei campionati nazionali quale attività sportiva istituzionale e la fine delle feste nazionali. Per il Centro Sportivo Italiano, e per me in particolare, don Carlo ha rappresentato una sorte di guida luminosa da seguire con grande entusiasmo e decisione. Tante e difficili sono state le battaglie che abbiamo portato avanti con grande vantaggio per il CSI. Penso al sostegno della campagna per la promozione dello sport in parrocchia, dello sport nelle scuole, dell’Oratorio Cup. E poi ripenso alle tante fatiche spese per ridurre le distanze tra le diverse componenti del sistema sportivo italiano, e in modo particolare tra il variegato mondo dello sport di base e lo sport professionistico, così da superare antichi, anacronistici steccati e ricomporre una frammentazione che allo sport non faceva certo bene. «Ognuno per sé e tutti contro tutti» è stata, da sempre, la parola d’ordine a cui le forze sportive, cattoliche e laiche, di questo Paese hanno obbedito. Mai si è voluto ragionare in termini di «interesse generale». Don Carlo mi ha insegnato a non arrendermi di fronte agli insuccessi ed ha sempre insistito perché il CSI tornasse a dialogare e ricreare quella virtuosa mutualità con lo sport professionistico. Mi ha trasmesso quel desiderio instancabile di esplorare nuove possibilità, nuovi mondi; di andare sempre oltre l’orizzonte conosciuto, oltre il già fatto, oltre l’ordinario, fino ad arrivare all’ultima scommessa: la proposta di un progetto etico per il calcio professionistico italiano. Più volte mi ha ripetuto che il nostro CSI non poteva rinunciare ad aprire nuovi orizzonti anche per lo sport professionistico, perché esso non appartiene alla grande industria ma è un’attività dell’uomo e quindi deve raggiungere il suo obiettivo: essere uno strumento educativo capace di curare l’umano. Quale umano? Anzitutto l’umano degli adolescenti, dei giovani, senza distinzione e senza esclusioni.