-IL PUNTO - L'ora delle scelte per lo sport di domani

L’intesa sottoscritta dal CSI con una società professionistica di calcio come l’Ancona segna una pagina importante, il cui valore va al di là dell’accordo in sé. L’evento ha riannodato i fili con l’idealità che ispirava il CSI del fondatore Luigi Gedda, tra la fine degli anni Quaranta e la decade successiva. Il progetto era certamente quello di educare i giovani attraverso lo sport, ma in aggiunta si sentiva necessario permeare il mondo sportivo professionistico per diffondere il valore di un modello di attività cristianamente ispirato. I cattolici, pensava Gedda, avevano il dovere di essere presenza pubblica significativa anche nell’ambito sportivo, indicando il modo di coniugare il vorticoso sviluppo dello sport professionistico con il rispetto di valori umani ed etici fondamentali. Era il CSI che simbolicamente partecipava al Giro d’Italia, che apriva un dialogo privilegiato con fior di campioni, che scriveva proposte di politica sportiva che investivano anche lo sport «alto». Quella strada, abbandonata per tanti motivi storici, oggi si riapre. Il progetto etico non è solo per l’Ancona o per il calcio, è per tutti le discipline che fanno economia e spettacolo. C’è un rischio, però. Se il CSI si mettesse a predicare il «buono sport» agli altri senza testimoniare in proprio cosa significa promuovere il bene nello sport, sarebbe arrogante e ipocrita. Il Csi ha il dovere di condividere il proclamato messaggio etico nelle sue fibre più riposte, richiamandosi alla responsabilità di essere l’apripista del nuovo. È, in altre parole, quel dovere di lavorare nell’eccellenza di cui più volte si è detto negli ultimi tempi. Già la pretesa di proporre sport educativo richiama al dovere dell’eccellenza, poiché implica lo sforzo di costruire percorsi che, oltre i traguardi tecnici, mirino alla promozione della persona, che cerchino di riportare la speranza dove c’è angoscia, che contribuiscano a costruire nei giovani di oggi il capitale umano di domani. Il medesimo dovere chiama in causa gli operatori, dirigenti e tecnici, che non possono limitarsi ad essere semplici «prestatori d’opera», ma devono sentirsi Apostoli di uno sport diverso, incarnato in gesti, comportamenti, proposte che costruiscono umanità. Serve una classe dirigente all’altezza delle sfide di oggi. Veri leader, veri uomini e donne di governo, che sappiano rischiare su percorsi inediti e prendersi la responsabilità di scelte coraggiose anche quando non sia immediata, ma a lungo termine, la possibilità di raggiungere il risultato previsto. 
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