Ulivieri: “Dal Csi abbiamo da prendere molto”

Il Csi ha incontrato Renzo Ulivieri, il presidente dell’Assoallenatori, con cui è prossima un’alleanza in chiave educativa per migliorare la qualità degli educatori sportivi e degli allenatori. L’ex allenatore di Samp, Vicenza e Bologna: Dal Csi abbiamo da prendere molto: modo di stare insieme, di impegnarsi nell’associazione, il modo di insegnare ai ragazzi il rispetto altrui, a vincere e anche a perdere
Recentemente il presidente dell’Assoallenatori, Renzo Ulivieri, ha incontrato a Coverciano il presidente del Centro Sportivo Italiano, Massimo Achini. Sono state gettate le basi per un’alleanza in chiave educativa per migliorare la qualità degli educatori sportivi e degli allenatori. Quali le prospettive di tale intesa?

E’ stato un incontro assai positivo, e nel lavorare insieme al Csi credo possa venire fuori qualcosa di molto importante per noi. Noi possiamo dare qualcosa dal punto di vista tecnico, qualche approfondimento… ma dagli enti di promozione sportiva e dal Csi abbiamo da prendere molto.


 
Ad esempio?

Il modo di stare insieme, il modo di impegnarsi nell’associazione, con i ragazzi, il modo di insegnare il rispetto l’uno degli altri, il modo di insegnare a vincere e anche a perdere. Credo siano cose che debbano parte fondamentale anche della nostra cultura, altrimenti insegnare ai ragazzi solo a stoppare una palla diventa troppo poco.

  Il CSI assegna allo sport dei giovanissimi, e quindi anche al calcio, una fondamentale responsabilità educativa. Cosa consiglierebbe agli allenatori CSI per valorizzare la funzione educativa del calcio giovanile?

C’è uno sport-spettacolo, un calcio che deve produrre vittorie, c’è un altro calcio negli oratori , nei campi di periferia dove invece l’aspetto principale è lo stare insieme. Le mie esperienze in gioventù sono un po’ d’oratorio e un po’ da casa del popolo, e laddove c’era un pallone ci si ritrovava, dal mattino a quando faceva buio. Una cosa non è cambiata: gli allenatori giovanili devono essere persone per bene, in generale. Ciò vuol dire rispettare gli altri. Un concetto semplice e al contempo difficile da applicare.

 Renzo Ulivieri si è seduto per la prima volta su una panchina a soli 24 anni, nel 1965.  Ora è presidente dell’Assoallenatori. Una vita nei panni del mister. Dalla panchina come ha visto cambiare il fenomeno calcio nel bene e nel male?

C’è stato un mutamento conseguente a quello della società. Sono cambiati i giovani. Non saprei dire se in meglio o in peggio. Forse un tempo magari si aveva più sentimento, anche se nel momento della gara, quando si entra nel rettangolo di gioco è rimasto intatto il fascino e il mistero del calcio. Anche se oggi si vuole entrare in ogni particolare, con le tv che vogliono sviscerato ogni episodio. Però il mistero del calcio rimane nella partita. Ogni partita ha un’anima, intesa come sommatoria di sentimenti: quelli dell’arbitro e dei segnalinee, quella dei giocatori, degli allenatori e di chi guarda.

 Dai vivai nostrani non sembrano più emergere molti talenti. Qualcuno tira in ballo i modi con cui si insegna il calcio. Qual è il suo giudizio e quale la sua ricetta per cambiare le cose?

Prima si giocava molto, direi sempre, oggi si gioca magari 4 ore a settimana. Qualche talento spesso viene ancora fuori dal sud Italia, dove si pratica ancora un calcio di strada, dove si gioca di più. L’allenatore deve conoscere di calcio ma per prima cosa essere ed essere percepito come persona per bene. Poi c’è la funzione educativa che rappresenta la base del nostro ruolo. Tante volte, guardando le partite fra ragazzini, l’impressione che il calcio educhi sempre non l’abbiamo affatto, quindi bisogna proporre un altro tipo di calcio, specie in ambito giovanile, di calcio di base, o di paese. Affinché sia momento educativo c’è bisogno dell’allenatore, dei dirigenti, che dialoghino con i genitori. Il percorso educativo non può prescindere da momenti ludici, da quando si gioca.

Si diffondono nuovi sport, quelli tradizionali perdono appeal, e i giovani sembrano indirizzarsi verso esperienza di polisportività. Cosa c’è dietro l’angolo per il calcio giovanile?

C’è un po’ di preoccupazione, perché i ragazzi giocano meno tempo al calcio. Con i videogames, e la tecnologia del calcio virtuale, è cresciuta la tendenza all’isolamento. Spero che si riduca e si torni al gioco sui campi.

 E’ stato anche allenatore in Vaticano, allenando in un triangolare la squadra della Catholicus Cup.  Cosa ricorda di quella giornata? E in generale dei preti calciatori?

Una bellissima esperienza. Un momento di divertimento, di condivisione e di riflessione. A me pare che anche un sacerdote, se non sa giocare al calcio è difficile che possa fare bene il prete…